SE IL COUNSELING HA UN CUORE

SE IL COUNSELING HA UN CUORE

 

 

Se il counseling ha un cuore, il suo cuore è il problem solving. Scrive il filosofo Karl Popper, nel suo scritto, Tre saggi sulla mente umana:

Tutti gli esseri viventi, piante, animali e uomini, sono solutori di problemi. Essi sono impegnati, giorno e notte, nella soluzione di innumerevoli problemi. Ovviamente essi non sono consapevoli di ciò, e neppur l’uomo lo è sempre. Tutti questi problemi vanno nella stessa direzione: essi sono tentativi di anticipare il futuro e di migliorare le prospettive degli organismi anticipando bisogni futuri o eventi minacciosi.

Due elementi sono importanti in questa riflessione:

Primo, che la questione della soluzione dei problemi non ha confini nell’universo dei viventi, e si pone senza distinzione a tutti essi: vegetali e animali di qualsiasi ordine e livello evolutivo.

Secondo, che essa ha una ragione per esistere: vivere significa essere organismi viaggiatori lungo una traiettoria in movimento nel senso del tempo, dal presente verso il futuro.

Tutto ciò che vive per il fatto che continua a vivere è un problema risolto. Per il fatto di appartenere a una realtà in movimento, deve risolvere sempre nuovi problemi. Nella sua struttura una parte integrante di essa è la risoluzione dei problemi. Noi siamo olistici, unitari e interconnessi, sicché ogni parte di noi si interroga reciprocamente con le altre. Noi siamo sovradeterminati: abbiamo diversi livelli dell’essere e perciò diversi livelli di problemi, sia come ostacolo sia come conquista. 

È questo il fondamento per cui la civiltà umana ha inventato quelle che noi chiamiamo discipline della cultura e del sapere: dalla scienza all’arte, dalla poesia alla tecnologia. Ognuna di esse ha risolto problemi del nostro stare al mondo, del nostro muoversi nel mondo, secondo bisogni e desideri di specie.

La ventura del nostro essere individui immersi nella microfisica della quotidianità è che assai spesso dobbiamo risolvere problemi a un livello indeterministico, ovvero nella frazione corpuscolare della quotidianità, nella quale non sempre siamo in grado di misurarne la valenza ondulatoria, la dimensione transfinita.

Ed è qui che ci occorre il counseling, come metodologia della soluzione dei problemi della umana contingenza, ma non a caso né in modo spontaneistico, bensì facendo tesoro della metodologia del problem solving delle innumerevoli discipline della nostra evoluzione culturale. 

 

Perché la mente umana ha scoperto, messo a punto modalità di problem solving con la biologia e con la letteratura (non nel racconto ma nel creare racconto), con la fisica e con la filosofia, con l’arte e con la tecnologia, con la matematica e con la musica, con la guerra e con la produzione di beni.

Ritengo che il counseling possa percorrere tutti questi sentieri per tradurre nel linguaggio che è suo proprio, il quotidiano, il suo lavoro di problem solving. 

Tra i frammenti dell’antico poeta greco Archiloco c’è un verso che dice “La volpe sa molte cose, ma il riccio ne sa una grande”. Esiste infatti un gran divario tra coloro (come il riccio), che riferiscono tutto a una visione centrale, a un sistema più o meno coerente o articolato con regole che li guidano a capire, a pensare, a sentire – un principio ispiratore, unico e universale, il solo che può dare significato a tutto ciò che essi sono e dicono, e coloro, dall’altra parte, (come la volpe) che perseguono molti fini, spesso disgiunti e contradditori, magari collegati soltanto energicamente, di fatto, per qualche ragione psicologica o fisiologica, non unificati da un principio morale o estetico.

Insomma, il counseling può essere volpe, o almeno è tale il mio augurio.

Mario Papadia,
Accademia per la Riprogrammazione, Roma