15 Gen Riportiamo il testo integrale emanato il 14 Gennaio 2010 Counselling : la posizione dell’Ordine degli Psicologi del Piemonte
ORDINE DEGLI PSICOLOGI
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Lo scrivente Ordine degli Psicologi del Piemonte ha ricevuto numerose segnalazioni da parte di propri iscritti aventi ad oggetto la figura del “counsellor”, sempre più spesso operante nell’ambito degli Enti ed Aziende pubbliche.
A fronte di tale situazione, l’Ordine ritiene di dover prendere formale posizione sulla questione, non solo a garanzia dei propri iscritti e della Professione stessa, ma anche, e soprattutto, a tutela di coloro che, rivolgendosi ad Amministrazioni pubbliche, fanno affidamento sulla preparazione e competenza professionale del personale messo a loro disposizione. La presente informativa concerne il solo “counselling” in senso stretto e proprio, mentre non riguarda, ovviamente, le attività di consulenza e di supporto, latamente intese, che fanno normalmente parte dell’esercizio di professioni riconosciute (medicina, fisioterapia, logopedia, etc…).
Come noto, la legge n. 56/1989 definisce la professione di psicologo stabilendo che essa “comprende l’uso degli strumenti conoscitivi e di intervento per la prevenzione, la diagnosi, le attività di abilitazione-riabilitazione e di sostegno in ambito psicologico rivolte alla persona, al gruppo, agli organismi sociali e alle comunità. Comprende altresì le attività di sperimentazione, ricerca e didattica in tale ambito” (art. 1 cit. legge).
Trattasi all’evidenza di un ambito molto ampio, che abilita lo “psicologo” ad operare efficacemente in moltissimi settori: clinico, sociale, psicologia del lavoro, benessere psico-fisico e crescita personale (crescita emotiva, cognitiva, relazionale, etc.).
Ciò vale, appunto, per lo “psicologo”: cioè per il soggetto che abbia conseguito l’abilitazione a svolgere la propria attività in ambito psicologico mediante l’esame di Stato e l’iscrizione all’apposito Albo professionale.
Tutto ciò che rientra nell’ambito di attività sopra descritto è, quindi, ex lege riservato agli psicologi regolarmente abilitati ed iscritti all’Albo (in tal senso, TAR Lazio, Roma, sez. I, 17 marzo 1998, n. 1049).
La figura del “consulente di psicologia”, o “counsellor” che dir si voglia, non trova riconoscimento nella predetta legge n. 56/1989, né in altre leggi dello Stato.
L’unico dato allo stato “ufficiale” relativo a tale figura professionale si rinviene nell’elenco del CNEL sulle associazioni delle professioni cd. “libere”, cioè non regolamentate, in cui risultano iscritte 11 associazioni/società di “counselling”. E’ bene, tuttavia, far notare – così contrastando le dichiarazioni inveritiere sovente diffuse al riguardo nei messaggi pubblicitari, nelle locandine, su pagine Web, etc. – che si tratta non di “riconoscimento” in senso proprio, ma di semplice “presa d’atto”, da parte del CNEL, dell’esistenza di soggetti giuridici che dichiarano di svolgere una certa professione.
Ciò si evince dal V rapporto CNEL di monitoraggio sulle professioni regolamentate, in cui si afferma chiaramente che “sia la Banca dati che l’Elenco qui contenuti esprimono unicamente un intento conoscitivo”, portando “a conoscenza di chi sia interessato la parte emersa del mondo delle professioni non regolamentate, per quello che il CNEL è riuscito a evidenziare” (v. Rapporto cit., pag. 6).
D’altro canto, in base al Regolamento per l’iscrizione approvato dallo stesso CNEL, la registrazione nel suddetto elenco è esclusivamente subordinata alla verifica, svolta sulla base dello Statuto e di ogni altra documentazione idonea, che l’Associazione richiedente descriva le “prestazioni professionali ritenute fondamentali, in quanto caratterizzanti la professione, rese dagli associati” . Oltre all’accertamento degli altri specifici requisiti di cui all’art. 2 del citato regolamento (quali, tra gli altri, l’esistenza di un ordinamento interno a base democratica, l’assenza di fini di lucro, la tutela degli utenti del servizio reso, etc.), il CNEL si limita, quindi, semplicemente a richiedere e prendere atto, mediante registrazione, dell’oggetto “fondamentale” della professione svolta dagli iscritti all’Associazione, come individuato e descritto dall’Associazione medesima.
Nessun altro tipo di verifica è condotta dal CNEL ai detti fini; né vengono condotti accertamenti in punto legittimità o meno dell’esercizio, da parte degli iscritti all’Associazione richiedente, della professione descritta.
E’ evidente, pertanto, che la mera iscrizione di Società ed Associazioni varie di “couselling” nell’ambito dell’elenco CNEL non comporta ex se che il cd. counsellor sia figura legittimamente abilitata alla prestazione di tutti i servizi professionali per i quali si propone e per i quali viene sempre più sovente richiesto nell’ambito delle Pubbliche Amministrazioni.
Occorrerà, quindi, di volta in volta verificare se lo specifico servizio che si intende affidare al counsellor rientri o meno nell’ambito di competenza “regolamentato” – e “riservato” – della professione di psicologo, e ciò tenendo conto sia del tipo di incarico che in concreto si va ad affidare, sia degli strumenti di indagine e delle tecniche di intervento che si renderanno necessari ai fini dell’espletamento del medesimo.
Al riguardo, sulla base delle segnalazioni pervenute (principalmente afferenti l’impiego di tale figura professionale in ospedali, scuole, aziende sanitarie, consultori, etc.), questo Ordine ha potuto riscontrare che gran parte delle attività svolte (e degli strumenti utilizzati) dai counsellors rientrano nell’area del “sostegno psicologico”, senz’altro riconducibile all’ambito delle competenze riservate agli psicologi ex art. 1 L. 56/1989.
D’altro canto, ove così non fosse, non si capirebbe perché in molte strutture pubbliche venga richiesto agli psicologi di fare da “tutor” agli aspiranti tirocinanti counsellors.
Da tali considerazioni discendono importanti conseguenze per i diversi soggetti coinvolti nel quadro sopra delineato:
– in primo luogo, i “cousellors” che dovessero esercitare attività ed utilizzare strumenti di indagine ex lege riservati agli psicologi abilitati ed iscritti all’albo incorrerebbero in responsabilità penale ex art. 348 c.p. per il reato di esercizio abusivo della professione (v. sul punto Cass. Pen. Sez. VI, 5 giugno 2006, n. 22274; Tribunale di Milano, sez. IX, 11 giugno 2009; sulla “riserva” in favore degli psicologi, v. TAR Lazio, Roma, sez. I, 17 marzo 1998, n. 1049 );
– dal canto loro, gli psicologi che dovessero insegnare a counsellors “l’uso di strumenti conoscitivi e di intervento riservati alla professione di psicologo” incorrerebbero nella violazione dell’art. 21 del Codice deontologico degli psicologi italiani;
– infine, le strutture/enti, pubblici e non, che dovessero affidare a “counsellors” incarichi che, per il loro oggetto e/o gli strumenti di indagine utilizzati, dovessero rientrare nell’ambito delle competenze riservate agli psicologi abilitati e dal cui espletamento derivassero danni di qualsivoglia tipo per l’utenza, sarebbero chiamati a risponderne nelle competenti sedi, civili e se del caso anche penali, sotto il profilo dell’affidamento a personale privo delle necessarie competenze professionali.
Per tutte le ragioni sin qui illustrate, quindi, l’Ordine scrivente invita gli Enti/Aziende in indirizzo a ad astenersi dall’affidare a figure professionali diverse dallo psicologo abilitato ed iscritto all’Albo lo svolgimento di incarichi che, per oggetto e strumenti utilizzati, siano riconducibili nell’ambito delle competenze riservate dalla L. 56/1989 agli psicologi.
Per le stesse ragioni, invita altresì gli Enti/Aziende predetti ad astenersi dall’imporre agli psicologi, loro dipendenti e/o collaboratori, lo svolgimento della funzione di “tutor” in favore degli aspiranti counsellors.
IL PRESIDENTE
Dr. Paolo BARCUCCI